Questa è la frase tipo che gli addetti ai lavori – veterinari comportamentalisti, educatori e istruttori cinofili in primis – sentono ripetere da buona parte dei proprietari che si rivolgono a loro per presunte difficoltà gestionali del proprio cane. In molti casi la situazione è ben diversa.
Nel momento in cui un cane, cucciolo o adulto che sia, entra in famiglia diventiamo a tutti gli effetti responsabili della costruzione della vita relazionale e del suo processo educativo. Prende forma immediatamente il nostro compito di mediatori emozionali attraverso i quali il nuovo arrivato si rapporta con il mondo: la sua percezione dell’ambiente, i modelli comunicativi che metterà in atto, le motivazioni che lo orienteranno, l’organizzazione sociale e gli schemi relazionali che concretizzerà, dipenderanno pertanto dalla nostra capacità di creare “relazione”, attraverso il riconoscimento della sua diversità.
Molte persone sono convinte che per creare un rapporto ottimale sia sufficiente sfruttare i propri sentimenti di amore e dedizione verso un essere al quale “manca solo la parola”, alimentando così una dannosa proiezione umanizzata che vede il cane alla stregua di un bambino indifeso e bisognoso di tutela verso un mondo pieno di pericoli. È proprio questa visione alterata a costituire il terreno nel quale si annidano comportamenti del cane che sono intesi dal proprietario come preoccupanti, perché interpretati secondo parametri umani.
I presunti problemi lamentati sono statisticamente sempre i medesimi: ‹‹il mio cane non mangia con appetito per cui devo cambiare sovente la qualità del cibo››; ‹‹il mio cane è molto vivace e, soprattutto in casa, richiede costantemente attenzioni e coccole, salta addosso e afferra con la bocca››; ‹‹il mio cane, quando sta in giardino, abbaia continuamente, rincorre con ossessione tutto ciò che si muove, scava buche a ripetizione››; ‹‹il mio cane, al guinzaglio, tira come un ossesso, abbaia o ringhia agli altri cani, è irruente con le persone››; ‹‹il mio cane scappa e non risponde ai richiami››.
I proprietari si aspettano una risoluzione immediata di tali comportamenti, senza rendersi conto che non rappresentano un problema bensì la manifestazione di un problema le cui cause devono essere ricercate nei meandri degli errori relazionali, comunicativi, educativi.
Bisogna perciò convincersi che per prevenire o correggere derive comportamentali indesiderate è indispensabile una revisione profonda delle proprie aspettative, dell’idea di cane, delle dinamiche relazionali, del metodo educativo, dell’approccio comunicativo. Si tratta di un cambiamento di rappresentazione a volte difficile e doloroso perché richiede di affrancarsi da pregiudizi, bisogni e proiezioni spesso molto radicati e altrettanto carichi di sovrastrutture.